A professionisti e imprese serve un’effettiva certezza del diritto

La tesi dell’amministrazione finanziaria secondo cui, ai fini delle imposte di registro ed ipo-catastali, la cessione totalitaria di partecipazioni sociali – anche nel caso di più danti causa – si configura quale cessione di azienda da riqualificare come tale ai sensi dell’articolo 20 del Tur (Testo unico del registro) sta facendo molto discutere.

L’orientamento trova linfa vitale in quell’articolato orientamento della Corte di cassazione, sviluppatosi con riferimento al caso della cessione d’azienda “spezzatino” e del conferimento di azienda seguito dalla cessione delle partecipazioni rivenienti dal conferimento, che, sebbene con alcune varianti, assegna alla suddetta disposizione del Tur il ruolo di norma che impone di qualificare l’atto o il collegamento negoziale in ragione del loro “intrinseco” e cioè in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti, appunto, dall’atto o dal collegamento degli atti soggetti a registrazione (si veda, da ultimo, la sentenza 3562/2017).

Insomma, per la Suprema corte la riqualificazione in questione non costituisce reazione ordinamentale ad un comportamento elusivo/abusivo, bensì attiene all’area della mera interpretazione delle disposizioni negoziali. Se così fosse, tuttavia, ci si dovrebbe domandare perché mai la riqualificazione non dovrebbe operare anche ai fini di altri tributi, primo fra tutti quello sul reddito (laddove il diverso trattamento di asset deal e share deal ha una sua ratio ben definita), e finanche ai fini della rappresentazione contabile. Ed invero, se gli effetti oggettivamente conseguenti alla cessione totalitaria di partecipazioni sono quelli della cessione di azienda l’avente causa dovrebbe rilevare nelle proprie scritture l’acquisizione di un compendio aziendale e non già di partecipazioni; con i conseguenti effetti in punto di fiscalità diretta.

Il fatto che a tale conclusione non si sia spinta l’amministrazione finanziaria dipende, con buona probabilità, dall’esistenza nel comparto delle imposte sul reddito di una disposizione che esclude l’elusività/abusività della combinazione conferimento-cessione di partecipazioni dallo stesso rivenienti (articolo 176 del Tuir) e ciò a conferma della reale prospettiva da cui muove la riqualificazione in questione ossia quella, appunto, anti-elusiva/abusiva.

Allora come superare l’impasse in cui si trovano i contribuenti stretti tra la forma (e la sostanza) dello strumento giuridico prescelto (share deal) ed il rischio della riqualificazione (in asset deal)? L’unica via d’uscita sembra essere quella costituita da un mutamento di prospettiva nell’approccio della Cassazione che, battendo con maggiore convinzione il sentiero cui timidamente guarda la sentenza 2054 del 2017, dovrebbe portare a confinare eventuali riqualificazioni di share deal in asset deal ai fini delle imposte di registro ed ipo-catastali nell’ambito della strumentazione anti-abuso di cui all’odierno articolo 10-bis della legge 212 del 2000 sottraendole al campo di applicazione dell’articolo 20 Tur. Senza un deciso revirement dei giudici di legittimità, infatti, è difficile pensare sul tema in questione a una marcia indietro dell’Amministrazione finanziaria.